CULTO DEI DEFUNTI E LIBERTÀ RELIGIOSA. LUCI E OMBRE NELL'ORDINAMENTO E NELLA PRASSI IN ITALIA
L’approccio pragmatico che guida l’azione della pubblica amministrazione nella selezione degli interlocutori confessionali sul territorio, non va esente da aspetti di criticità sui criteri che definiscono gli accessi alle sepolture nei reparti religiosi e il diritto individuale a goderne sulla base di una più o meno accertata appartenenza alla comunità.
Il culto dei defunti è uno degli “aspetti pratici della libertà religiosa” di grande impatto nelle società civili contemporanee.
Infatti, nell’esperienza della morte e nella celebrazione dei riti che ne conseguono, si ravvisano alcuni tempi e momenti nei quali l’uomo si trova dinanzi a domande sul senso ultimo della vita che, indipendentemente dalle risposte date, attengono profondamente alla religiosità dell’essere umano. In quanto espressioni della religiosità umana, quale aspetto dell’identità e della personalità individuale e dell’appartenenza collettiva, dunque, la morte, la sepoltura, la venerazione e la memoria dei defunti negli atti di culto e nei luoghi di sepoltura riguardano la sfera di libertà religiosa che nella Costituzione italiana risulta tutelata, in tutti i suoi risvolti, dal combinato disposto degli artt. 2, 3, 8 e 19, e divengono nella loro dimensione pratica e quotidiana oggetto di interesse individuale e collettivo religiosamente qualificato.
La non sempre organica normazione civile e la spesso difficile “integrazione” con quella/e religiosa/e danno vita ad un corpus normativo eterogeneo e complesso, ma ricco di spunti di riflessione sulle modalità con le quali gli ordinamenti civili e quelli religiosi devono confrontarsi nella soluzione dei problemi legati agli “aspetti pratici della libertà religiosa” nelle società multiculturali e multireligiose. Quali sono i punti di forza di questa integrazione? Quali invece le questioni problematiche che vanno migliorate soprattutto nell’applicazione pratica delle regole civili e religiose in materia?
Culto dei defunti, cimiteri e pluralismo religioso. Le fonti “centrali” nell’ordinamento italiano
Dalla prospettiva giuridico-statuale, la libertà del culto dei defunti come estrinsecazione della libertà religiosa individuale e collettiva, trova fondamento costituzionale nell’art. 19 Cost. per tutti gli individui, ma diviene “rinforzato” per i cittadini-fedeli appartenenti ad alcune confessioni religiose diverse dalla cattolica, poiché esso è richiamato nelle norme pattizie contenute nelle Intese ex art. 8 comma 3 Cost., che prendono in esame il tema dell’osservanza dei riti funebri, sotto un duplice profilo.
Il primo si sostanzia nelle garanzie di osservanza delle pratiche cultuali funebri del cittadino-fedele, in circostanze di “ridotta capacità” di azione o movimento, come avviene in alcune “istituzioni chiuse”: sono i casi delle norme contenute nelle Intese con confessioni religiose diverse dalla cattolica che, con espressioni tra loro molto simili, contemplano la disciplina delle sepolture e dei riti funebri di cittadini-fedeli in servizio presso le forze armate. Per tutte si vedano l’art. 8, comma 4, della Legge di approvazione dell’Intesa con le Comunità ebraiche italiane: “[…] In caso di decesso in servizio di militari ebrei, il comando militare avverte la Comunità competente, onde assicurare, d'intesa con i familiari del defunto, che le esequie si svolgano secondo il rito ebraico” e ancora nello stesso senso l’art. 4 comma 3, della Legge di approvazione dell’Intesa con la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale: “[…] In caso di decesso in servizio di militari ortodossi appartenenti all'Arcidiocesi, il comando militare competente adotta, d'intesa con i familiari del defunto, le misure necessarie ad assicurare che le esequie siano celebrate dai ministri di culto dell'Arcidiocesi”.
Il secondo profilo mira a riconoscere l’autonomia confessionale in ambito funebre, nelle norme pattizie che contemplano l’osservanza di sistemi specifici di sepolture religiose e di trattamento delle salme e di spazi cimiteriali adeguati a esse, nel rispetto delle prescrizioni religiose. Uno degli esempi è l’art. 25 della Legge di approvazione dell’Intesa con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni: «[…] Le sepolture nei cimiteri della “Chiesa” e nei reparti speciali dei cimiteri comunali sono perpetue in conformità dei riti e della tradizione della “Chiesa” medesima». A tal fine, le concessioni di spazi cimiteriali secondo la normativa del Regolamento italiano di Polizia mortuaria, «sono rinnovate alla scadenza di ogni 99 anni. L’inumazione nei reparti della “Chiesa” ha luogo secondo un regolamento emanato dalla stessa, in conformità con la normativa italiana in materia. Nei cimiteri della “Chiesa” è assicurata l’osservanza dei riti e delle cerimonie della “Chiesa”».
Si vedano anche l’Intesa ebraica e quella stipulata con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni che contengono disposizioni sulla previsione nei piani regolatori cimiteriali, su richiesta della “comunità competente per territorio” (ebrei) e della “Chiesa” (mormoni), di reparti speciali per la sepoltura dei defunti appartenenti a queste confessioni religiose.
Dal momento che in Italia le concessioni di spazi cimiteriali sono sempre a tempo determinato e non possono esistere sepolture perpetue, lo strumento giuridico amministrativo con il quale si garantisce una specie di perpetuità delle sepolture è quello della concessione alla comunità religiosa di riferimento di un’area cimiteriale per una durata di novantanove anni rinnovabili (art. 92 DPR 285/1990).
Analogamente, nelle recenti Intese con la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale, l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione Induista italiana e con l’Istituto Buddhista italiano Soka Gakkai, è contemplata la possibilità di prevedere “aree riservate ai sensi della normativa vigente”.
Il legislatore italiano, peraltro, già all’art. 100 del Regolamento nazionale di Polizia mortuaria (DPR n. 285 del 1990) aveva previsto che “I piani regolatori cimiteriali […] possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico. […]”.
In tal modo, anche le comunità di fedeli appartenenti a confessioni religiose che non hanno una Intesa con lo Stato possono richiedere al legislatore regionale, in sede di emanazione della legge sulla polizia mortuaria, ma soprattutto alle amministrazioni locali, in sede di redazione e approvazione del piano regolatore cimiteriale e/o del regolamento comunale di polizia mortuaria, di tenere conto dell’interesse religiosamente qualificato di comunità religiose diverse dalla cattolica di avere spazi cimiteriali riservati.
Cimiteri e pluralismo religioso. Interessi religiosi e fonti “decentrate”
Le fonti degli enti locali assumono grande importanza e rendono bene l’idea delle criticità e delle positività esistenti nell’effettiva attuazione del diritto di libertà religiosa sul territorio.
Il Regolamento nazionale di polizia mortuaria individua nei Comuni i principali soggetti istituzionali che possono provvedere alla creazione dei reparti speciali cimiteriali, tanto che questa appare la modalità ordinaria con la quale, attraverso i loro regolamenti, i Comuni gestiscono le istanze religiose attinenti alle sepolture di defunti appartenenti a confessioni diverse dalla cattolica.
Dal canto suo, la normativa regionale, infatti, con l’intento, non sempre riuscito, di armonizzare le disposizioni comunali, si limita a contenere delle stringate prescrizioni che fanno riferimento alla possibilità per i Comuni di prevedere aree per sepolture private da dare in concessione a persone o enti anche morali. Solo in alcuni casi nelle fonti regionali possono ravvisarsi statuizioni che più esplicitamente prendono in considerazione le sepolture confessionali. È il caso della legge regionale delle Marche del 2005 n. 3, che all’art. 9 stabilisce che “la Regione d’intesa con l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), definisce con il Regolamento regionale […] b) le caratteristiche dei campi di inumazione, dei loculi, delle sepolture private, delle strutture cimiteriali e di quelle per la cremazione, tenendo conto delle diverse convinzioni culturali e religiose del defunto;”.
A livello locale, infatti, la previsione esplicita di reparti speciali da destinarsi alle sepolture religiose è abbastanza frequentemente prevista sia in fonti di carattere unilaterale, come i piani regolatori comunali e i regolamenti comunali, sia in fonti di carattere bilaterale, come Convenzioni, Protocolli di intesa, accordi, tra le amministrazioni cittadine e le comunità religiose presenti sul territorio.
Nella prima tipologia di interventi, di carattere unilaterale, possono annoverarsi tutte quelle norme che ripropongono il contenuto dell’art. 100 del DPR 285 del 1990.
Si va dunque da un profilo per così dire minimal, senza alcuna specificazione delle tipologie di sepolture religiose, come avviene ad esempio nel Comune di Padova, il cui Regolamento dei servizi cimiteriali del 2011 e successive modifiche si limita a prevedere che “Nel Cimitero Maggiore sono costituiti reparti di inumazione e ossari destinati ad accogliere le spoglie mortali di persone appartenenti a particolari comunità o categorie. Tali reparti sono: […] il reparto religiosi; il reparto riservato a culti diversi da quello cattolico. […]”, e aggiunge che “L’ammissione al reparto e all’ossario religiosi è autorizzata dalla Curia Vescovile” (art. 16), ad un approccio più dettagliato, che enuclea le tipologie di sepolture religiose ammesse nei reparti speciali, dettando talvolta anche le regole per esse, che in alcuni casi introducono meccanismi di rinvio a norme confessionali attraverso il riferimento all’art. 8 Cost., fino ad una impostazione decisamente più dettagliata.
In queste ultime ipotesi, i regolamenti comunali prevedono sia la possibilità generica di istituzione di reparti speciali religiosi nei cimiteri del territorio sia le regole specifiche per quelli già esistenti.
Si pensi, ad esempio al Regolamento comunale di Polizia mortuaria di Modena del 2002, il quale, oltre a far riferimento alla generica possibilità di predisposizione dei reparti speciali, individua anche espressamente le tipologie di sepolture religiose. Infatti, all’art. 7 (Reparti speciali nei cimiteri), fa seguire due norme specifiche, una, l’art. 8, per le Sepolture nel cimitero musulmano, e l’altra, l’art. 9, per quelle nel cimitero israelitico. Tale testo, peraltro, dettaglia ulteriormente la disciplina delle concessioni a comunità religiose di reparti speciali, richiamando la possibilità, sancita dalla Circolare ministeriale sanità 10/98, dell’inumazione del cadavere avvolto unicamente in un lenzuolo di cotone, mantenendo però fermo l’obbligo dell’utilizzo della cassa di legno o di zinco e legno, per il trasporto funebre.
Un’ulteriore e più particolare modalità di approccio è rappresentata da quelle disposizioni comunali che rinviano ad apposite convenzioni sia l’individuazione dei titolari “confessionali” delle concessioni dei reparti speciali sia i contenuti della loro disciplina. È la scelta effettuata dal Comune di Milano del 2015, che nel suo Regolamento di polizia mortuaria prevede semplicemente che “Nel rispetto del piano cimiteriale, previa stipulazione di convenzione con l’Amministrazione comunale, possono, altresì, essere previsti reparti speciali destinati al seppellimento di: […] appartenenti a comunità etniche e religiose diverse; […] (art. 11) e che “I cimiteri consentono, di norma, le seguenti tipologie di sepoltura: […] inumazione di defunti appartenenti a comunità etniche e religiose diverse, di cui al precedente articolo, per il periodo stabilito nelle specifiche convenzioni; […] (art. 13)”.
Esistono dunque una serie di fonti locali di carattere bilaterale/concordato, come Convenzioni, Accordi, Protocolli di Intesa, che definiscono sia modalità, contenuti e limiti della concessione di aree nei cimiteri comunali per le sepolture private religiose sia i soggetti confessionali interlocutori degli enti locali.
Tali provvedimenti contengono norme che spaziano dai criteri di individuazione dei campi destinati alle sepolture confessionali, alle statuizioni relative alla durata delle convenzioni, al titolo oneroso o gratuito delle stesse, al richiamo delle regole civilistiche in materia di concessione, alle regole più strettamente gestionali che riguardano anche l’articolazione di competenze tra autorità civili e religiose nelle attività di diverso genere che insistono sul reparto speciale, come quelle che riguardano gli interventi cimiteriali, la manutenzione dei campi inumativi, la costruzione di manufatti, l’apposizione di cippi, lapidi ecc.
Al di là dei contenuti, parzialmente variabili in ciascun atto bilaterale, l’aspetto interessante è rappresentato dai meccanismi di preliminare individuazione degli interlocutori confessionali con i quali l’ente locale si determina ad addivenire all’accordo e conseguentemente le regole di accesso delle sepolture su base confessionale. Occorre osservare infatti che in molti casi i rapporti di collaborazione con le comunità religiose di minoranza presenti sul territorio sono stati instaurati con confessioni prive di Intesa di vertice ex art. 8 comma 3 Cost. con lo Stato italiano, semplicemente in ragione del criterio esistenziale dell’insistenza in un determinato territorio di una comunità di fedeli, con un soggetto individuato quale rappresentante del soddisfacimento dei bisogni religiosi degli appartenenti alla comunità religiosa locale.
Luci e ombre dell’attuazione pratica della libertà religiosa in materia cimiteriale
L’approccio pragmatico che guida, con intenti sicuramente meritori, l’azione della pubblica amministrazione nella selezione degli interlocutori confessionali sul territorio, non va esente da aspetti di criticità sui criteri – fissati nei provvedimenti unilaterali o bilaterali dei Comuni – che definiscono gli accessi alle sepolture nei reparti religiosi e il diritto individuale a goderne sulla base di una più o meno accertata appartenenza alla comunità.
Da alcuni Regolamenti comunali, infatti, sembra emergere una specie di automaticità secondo la quale, in assenza di indicazione contraria da parte del defunto o dei suoi eredi, spetterebbe al Sindaco, in sede di rilascio del permesso di seppellimento, accertare l’appartenenza religiosa del defunto e destinarlo nel cimitero comune o nel reparto speciale eventualmente esistente, senza che sussista alcun obbligo di comunicazione di tale decisione agli eredi o alla comunità confessionale di riferimento.
Di diverso tenore sono quelle disposizioni regolamentari o convenzionali che contemplano il coinvolgimento della “comunità religiosa competente” nelle procedure di destinazione delle salme nei reparti speciali. In alcuni casi, infatti, si prevede esplicitamente che “la sepoltura non è consentita senza il parere della Comunità competente” o senza “autorizzazione formale dei rispettivi ministri di culto” oppure che è comunque necessario la “richiesta scritta” della comunità confessionale firmataria della convenzione. In altri, come nel Regolamento comunale di Torino, si dispone che “L'appartenenza a comunità straniera, o culto diverso da quello cattolico, o similari, per l'ammissione nei reparti speciali è attestata dal rappresentante pro-tempore della relativa comunità, il cui nominativo è comunicato alla Città o al soggetto gestore in caso di variazione”.
Norme di tal genere facilitano la concreta gestione delle sepolture in questione, ma implicano anche criticità interpretative e attuative che hanno dato luogo a controversie intraconfessionali sfociate anche in ambito giudiziario.
Tra le positività è sicuramente da annoverarsi la metodologia partecipativa con la quale spesso sono gestiti i reparti speciali dei cimiteri, che riconosce in capo alla Comunità (religiosa) competente uno spazio di autonomia nella scelta del luogo della sepoltura, nonché nella regolamentazione delle modalità di accesso alla stessa. Tali strumenti sono potenzialmente in grado di avviare procedure di “consultazione”, che sfociano in atti di varia natura (richiesta, parere, consenso, attestazione di appartenenza o autorizzazione), che contribuiscono a mantenere attivo e costante il canale di comunicazione tra la comunità religiosa interessata e il Comune e ad instaurare un rapporto tra ente locale e comunità religiosa.
Esistono tuttavia alcune criticità che riguardano ad esempio la discrezionalità con la quale le amministrazioni comunali possono decidere o meno se concedere nei propri cimiteri reparti speciali alle comunità religiose del territorio, aspetto questo che si traduce in una potenziale lesione del diritto individuale di libertà religiosa e in un’attuazione dello stesso “a macchia di leopardo”.
Un altro aspetto problematico riguarda l’individuazione ad opera della pubblica amministrazione della comunità religiosa “effettivamente” competente e della selezione del soggetto che all’interno di tale comunità possa essere riconosciuto titolare della scelta e delle verifiche in materia di ammissione delle salme nei reparti speciali, soprattutto nei casi di frammentarietà di alcune comunità confessionali.